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Trevor è gay? Probabilmente sì, ma lui non lo dice mai. E le cose non dette sono le protagoniste di questo romanzo breve (o racconto lungo, non ho mai capito bene la differenza).
Trevor, di James Lecesne (Rizzoli, 2014) è una di quelle letture cacciavite, che s’infilano in un piccolo recesso delle nostre menti girando una rotella, che ne spinge un’altra che ne smuove altre due e così via. Come la manovella di avviamento delle automobili dei primi del ‘900, che serviva a provocare la prima combustione, l’esplosione in grado di dare la spinta necessaria a far partire il motore.
Dove porterà questo specifico viaggio, verso quali pensieri e riflessioni, è un fatto molto soggettivo. Ognuno di noi ha le proprie opinioni ma, soprattutto, gli argomenti che ci vengono proposti sono molti.
Lecesne ci presenta un ragazzino e ci spinge ad affezionarci a lui: grazie all’entusiasmo che esprime; all’esplosività della sua fantasia; alla sua ingenuità e al suo amore per Lady Gaga.
Prima di tutto avevo preso in prestito il coltello da cucina della mamma (quello grosso), e l’avevo piantato bene nella terra. Poi mi ero sdraiato davanti, mettendo il corpo in modo che alla gente che passava in macchina davanti a casa nostra sembrasse che ero stato pugnalato a morte. Il fatto che il papà stesse passando il tosaerba con indifferenza rendeva (secondo me) la scena ancora più macabra.
Poi lo fa innamorare (anche se lui sembra non rendersene conto completamente) di un suo coetaneo, gli fa subire dei torti e, invece di indicargli come strada maestra la via dell’affermazione di se stesso e della propria sessualità, rivendica il diritto di Trevor di decidere con i suoi tempi, di essere quello che è, senza dover subire spinte a nascondersi o a uscire allo scoperto.
In questo romanzo non ci sono grandi cattivi, non troverete incredibili crudeltà. Al contrario, sono descritte con mano leggera situazioni divertenti. Questa storia non cerca di spiegarci cosa dobbiamo pensare, si limita a descrivere una situazione, a farci conoscere i pensieri di un ragazzo in un determinato momento della sua vita, a illustrarci un punto di vista.
L’omosessualità, la capacità (o incapacità) delle persone di gestire questa situazione, il bullismo, il dialogo genitori e figli, il suicidio, sono gli argomenti trattati in queste pagine, alcuni affrontati più approfonditamente altri solo sfiorati. L’autore si è limitato nella scrittura (il non detto di cui parlavo all’inizio), lasciando a noi il compito di riempire i vuoti o di illuminare determinate zone.
Io, per esempio, sono stato attirato dall’incapacità del protagonista di avere un vero dialogo con i propri genitori. Non perché questi ultimi siano brutte persone, e nemmeno a causa di un cattivo rapporto tra loro e Trevor, semplicemente il ragazzo sembra dare per scontata l’impossibilità che possano comprenderlo.
La carta dell’aiuto e del sostegno di sua madre e di suo padre non è giocabile, meglio piuttosto passare la mano. Quante volte succede? Quanto spesso l’orgoglio o la vergogna ci impediscono di chiedere aiuto? “Perché non cerca di spiegarsi?” mi ritrovavo a pensare. E, quasi inevitabilmente, questo mi ha spinto a cercare di avere una maggiore attenzione verso i problemi e i comportamenti di chi mi è più vicino.
Sembra esserci una palese incongruenza tra la lunghezza del romanzo e l’importanza e la quantità di argomenti che tratta. Ma ci sono poesie o canzoni che riescono a provocarci emozioni o riflessioni in uno spazio ancora minore. La semplicità e la verosimiglianza di quello che ci viene raccontato bastano e avanzano.
In definitiva, Trevor è la foto di un ragazzino magrolino, con occhi grandi e un sorriso allegro, che guarda la camera dal bordo di una spiaggia, con le mani atteggiate in una posa esageratamente teatrale e che sembra dirti: “Guardami! Sono così e sono felice!”. È davvero così importante sapere cosa pensa? Per chi batte il suo cuore? È realmente troppo complicato lasciargli vivere la sua vita, alla sua maniera?
In conclusione voglio segnalare i manifesti del trevor project (associazione nata grazie ai proventi del racconto e delle opere teatrali che ne sono derivate), in cui alcuni ragazzi affermano di essere contenti di non avercela fatta, intendendo con questo che hanno compreso, andando avanti nella vita, che il fatto di aver fallito nel suicidarsi è stato in realtà un successo. Un messaggio molto bello, che scalda il cuore, e che vale la pena di trasmettere.
James Lecesne, Trevor, Rizzoli, 2014.
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