Se c’è una cosa che davvero mi manda ai pazzi sono le storie con le famiglie ebraiche. Non so assolutamente il motivo di questa mia perversione, so solo che quando ci sono di mezzo Bat Mitzvah, Kippah e Payot i miei occhi si spalancano e tutta la mia attenzione non si smuove di un millimetro. Una volta ho persino pensato di fare un corso di Yiddish, di quelli con i cd (che ora sono mp3), ma sinceramente pensavo che non sarei più uscita di casa e ho deciso di salvare la mia vita.
Principalmente quando penso a queste storie penso a tre cose (non me ne voglia nessuno):
La prima è Woody Allen, la seconda è Ogni cosa è illuminata, il bellissimo romanzo di Jonathan Safran Foer pubblicato da Guanda, la terza è Rue des Rosiers.
Rue des Rosiers è la mia via preferita di Parigi. Si trova nel quartiere di Saint Paul ed è una via fatta col pavè, quasi interamente pedonale, piena di negozietti a metà tra il vintage e l’hipster. Ecco, al 16 di Rue des Rosiers c’è Murciano. È una boulangerie ebraica con un Hanukkiah in vetrina (l’Hanukkiah è un candelabro a nove bracci, usato durante una festività che si chiama Festa delle Luci, "Hanukkah", appunto), gli infissi di un azzurro Santorini e una quantità di leccornie incredibili che solo a guardare la vetrina ci si sente male.
L’ultima volta che sono stata a Parigi, circa due mesi fa, mi sono fermata sul Pont des Arts a guardare un tramonto e a pensare che nell’ultimo anno avevo fatto diversi errori e diverse cose giuste e che una di queste era stata quella di chiedere e di parlare, di esplicitare tutto l’esplicitabile nella vasta gamma di modalità di espressione che la natura mi aveva messo a disposizione. L’avevo fatto con la persona a cui volevo bene, con le amiche con cui avevo avuto qualche diverbio. Avevo chiesto, avevo dato.
Poi, mentre continuavo a camminare, sono arrivata da Murciano. Ho scattato una foto. Dentro c'era un ragazzo con Payot lunghissimi e gli occhiali sottili, e poi una famiglia con due bambini, che se ne stavano con il viso schiacciato contro la vetrina dei dolci, gli occhi sognanti e l’acquolina.
Ho subito pensato a questo mio posto preferito, il 16 di Rue des Rosiers, quando ho iniziato a leggere I Middlestein, quarto romanzo di Jami Attenberg edito Giuntina, un vero caso editoriale da settimane. Non solo perché parla di una famiglia ebraica (ma trapiantata a negli Stati Uniti e non in Francia).
I Middlestein è la storia di Edie, una donna obesa che non riesce a smettere di mangiare, che ha bisogno di abbuffarsi per rivendicare la sua presenza al mondo, il suo ruolo nella società. Ma non è ovviamente solo questo. È la storia di un matrimonio che finisce, della voglia di rifarsi una vita; la storia di una famiglia che cerca di fare ordine e invece non ci riesce, una storia di ossessioni e di incapacità di comunicare. È principalmente un micro mondo in cui le persone non riescono a capirsi, non si parlano; cercano di capire gli altri senza fare la cosa più semplice del mondo: chiedere aiuto, accettarlo dagli altri. Mi è venuta in mente Parigi, Murciano, il Pont des Arts, le amiche, le delusioni, l’amarezza, il dispiacere, le scelte. E ho pensato che si fanno degli errori, ci si comporta male, ci si riempie di ansie, come se non fossero sufficienti quelle che ci mettono gli altri. Ma alla fine, svuotata di tutto il superfluo, nella vita rimangono le cose semplici. E importanti. È come quando vai in bicicletta: la strada ti sembra pianeggiante, invece è una leggera salita. Sembrano sempre pianeggianti, le strade, quando le fai in macchina, ma poi non lo sono mai, in bicicletta.
E quando inizia la salita le gambe fanno male, il respiro si fa affannoso. L’unica cosa che puoi iniziare a fare, per sentire meno i tuoi pensieri, è iniziare a togliere il superfluo dalla testa. Le cose meno importanti, meno urgenti, le fai passare attraverso il colino, cadono, vanno via. E lo fai con tutto quello che pesa, perché senti l’affanno e tutto quello che non è necessario portare sulle spalle. Alla fine, quello che rimane, quello che non è passato attraverso il colino, è quello che conta davvero, le cose che non vuoi perdere perché troppo importanti.
Ecco, io credo che in questo libro Jami Attenberg faccia un’operazione simile. Prende la vita, la taglia a pezzetti e la divide. Smonta le cose, ti ci fa guardare dentro, ti fa vedere tutti i pezzi e ti dà la possibilità di scegliere cosa tenere – magari anche tutto, magari solo lo stretto indispensabile. Tutto il resto te lo fa buttare via. Così alla fine del libro, di Edie, la sua famiglia, l’obesità, i bisogni, i silenzi, vedi solo le cose davvero necessarie. Tutto il resto è una storia raccontata benissimo.
Jami Attenberg, I Middlestein, Giuntina, 2014.
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