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L’evoluzione pop della cultura

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La scrittura è un congegno artificiale che connette la visione al linguaggio (e il linguaggio) è un pezzo a sé del corredo biologico del nostro cervello.

Steven Pinker, L'istinto del linguaggio

Ho scelto l'aforisma di cui sopra per introdurre il tema del nostro odierno appuntamento bisettimanale. Come avrete capito, c'entrano il linguaggio e la biologia.

Il linguaggio, ossia l'insieme di codici ed espressioni verbali e non verbali che permettono a due o più individui di comunicare fra loro, non è una prerogativa degli esseri umani. O meglio, bisogna chiarire che tipo di linguaggio si intende: se pensiamo ad un l. chimico, costituito da feromoni e altre molecole segnalatrici, le cellule del nostro organismo sono già perfettamente capaci di comunicare; se, invece, facciamo riferimento ad un l. fisico, ad esempio costituito da suoni, anche in quel caso non c'è bisogno che tali suoni siano codificati in parole, ma basta che seguano un insieme di regole acustiche perché due pipistrelli o due delfini riescano tranquillamente a "parlarsi".

Quello che pare contraddistinguere la nostra specie in fatto di comunicazione non sta tanto nell'abilità di attuarla, quanto nel trasmettere attraverso di essa dei concetti che non sono strettamente legati alla realtà circostante e momentanea. Solo noi esseri umani siamo infatti capaci di esprimere per mezzo del linguaggio esperienze passate e pensieri futuri, siamo capaci dunque di elaborare concetti sulla realtà con parole, segni e simboli. Tale abilità linguistica rientra e costituisce la base per il racconto e la narrazione, forme di comunicazione senza le quali, per l'appunto, non esisterebbero i libri.

La tesi appena descritta è riportata, sicuramente meglio del sottoscritto, nel libro L'istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani, il cui autore è Jonathan Gottschall, docente presso il Washington and Jefferson College in Pennsylvania e specializzato nei rappporti fra letteratura, linguistica ed evoluzione.

Appare chiaro dall'opera di Gottschall che lo sviluppo del nostro cervello non sarebbe stato lo stesso se il primo uomo delle caverne non avesse "pensato" a comunicare ai suoi simili qualcosa che gli era accaduto. La narrazione, dunque, funziona un po' come aggiunta a quella dose di istinto primordiale che negli altri animali viene essenzialmente "trasportato" dall'eredità genetica e che noi abbiamo dovuto ritrovare al di fuori del DNA. Non solo, la capacità narrativa e l'abilità di raccontare contribuiscono alla formazione neurologica della nostra psiche, facendo sì che i bambini imparino a gestire i rapporti sociali e ad esplorare mondi sconosciuti alla loro esperienza tangibile tramite la fantasia.

L'istinto di narrare è un libro controcorrente. Da tempo, infatti, è diffusa la "moda" della psicologia evoluzionistica, nella quale troviamo esempi fatti da etologi e studiosi del comportamento di ognidove che si divertono ad allargare le tesi darwiniane allo studio della nostra mente. Comparatismi fra specie diverse con la nostra per evidenziare quali schemi di comportamento risultino "innati", hanno la tendenza a farci apparire come una specie (per riferirci solo alla nostra!) lasciata lì dall'evoluzione a partire dal Paleolitico. D'altra parte, riportandoci al caso di Gottschall, l'abilità linguistica del racconto si sarà sviluppata già milleni or sono e allora perché pensare che Manzoni o Cervantes possanoa aver contribuito in qualche modo all'evoluzione di tale capacità?

A salvarci da questa PEP ("pop evolutionary psychology") ci pensa il filosofo ed epistemologo Telmo Pievani. Da anni studioso dell'opera di Charles Darwin nonché delle più moderne teorie sull'evoluzione (ha svolto il dottorato di ricerca a New York con i paleoantropologi Niles Eldredge e Ian Tattersall), Pievani ricopre attualmente la cattedra di Filosofia della Scienze Biologiche all'università di Padova.

Egli è autore del libro Evoluti e abbandonati, dove spiega come la mente umana non sia semplicemente una macchina governata da geni e istinto, rimasta immutata dalla comparsa del primo Homo sapiens sapiens, ma bensì un marchingegno in continuo mutamento, stimolato a cambiare ed innovarsi grazie alle perturbazioni dell'ambiente. La specie umana non solo ha continuato ad evolversi dal punto di vista biologico, ma ha dato vita ad una nuova forma di evoluzione, parzialmente inaspettata dallo stesso Darwin: quella culturale!

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