(photocredit: Csilla Clenyanszki)
C’è poco da dire: il risveglio è senza dubbio il momento più traumatico della giornata. Sfido chiunque a dichiarare di vivere bene quegli istanti consecutivi al suono sveglia che rappresentano forse le ultime tracce tangibili di fratellanza umana nella comune sofferenza. Perché tutti, ma proprio tutti, odiano svegliarsi: dal bambino che deve andare a scuola, al genitore che deve tirar fuori la macchina dal garage mentre invoca uno per uno tutti gli dei dell’Olimpo affinché lo assistano nel trovare parcheggio, allo stagista sottopagato schiavo della tirannia imprevedibile dei mezzi pubblici. Le gocciole non bastano. Perché ogni mattina un essere umano si sveglia e sa che dovrà correre più di qualsiasi suo simile per sopravvivere ancora una volta alla minaccia incombente di una crisi di nervi. E questo vale anche la domenica: lo dicevano pure i Velvet Underground in Sunday Morning, quella bella canzoncina che tutti sono convinti celebri la dolcezza serena di un risveglio senza stress nel mulino che vorrebbero e che invece descrive con un motivetto orecchiabile l’angoscia dell’esistenza.
Insomma, appurata la natura intrinseca di piaga universale della presa di coscienza mattutina, occorre però ammettere che esistono dei personaggi della letteratura che avrebbero qualche ragione in più di lamentarsi. Alcuni scrittori particolarmente sadici ci hanno infatti regalato una serie di esempi molto particolari e in alcuni casi difficili da dimenticare di eroi che, diciamo, probabilmente avrebbero preferito non svegliarsi affatto.
L’assessore di collegio Kovalèv de Il naso di Gogol’. Immaginatevi aprire gli occhi una mattina presto, stiracchiarvi e prendere uno specchio per controllare l’eventuale ingrossamento di un foruncolo intravisto la sera prima, per scoprire che, di fatto, il foruncolo è scomparso come il naso sul quale avrebbe dovuto stare. C’è poco da pizzicare e prendersi a schiaffi: non è un sogno, siete proprio… denasati. Se poi vi capita addirittura di vedere il vostro naso scendere da una carrozza in uniforme da consigliere di stato e recarsi compitamente in chiesa capirete bene che la speranza che torni sulla vostra faccia è pressoché nulla. Il furbo, guadagnata la sua libertà, non ci rinuncerà poi così facilmente. E se anche trovaste un giornale disposto a sporgere denuncia da parte vostra, pensate di poter rintracciare un medico capace di riportare la situazione alla normalità? Insomma, meglio non augurare a nessuno, se non al vostro peggior nemico, un risveglio come quello di Kovalèv. Perché è vero che, con la stessa imprevedibilità con la quale era fuggito, una notte il naso tornerà di sua sponte sulla faccia, ma c’è davvero da stare attenti: come dice Gogol', “simili avvenimenti al mondo accadono, di rado, ma accadono”.
Il risveglio di Alfonso Wan Worden, protagonista nonché voce narrante principale del Manoscritto trovato a Saragozza del conte Jan Potocki, è un’esperienza tanto brutale quanto ascrivibile alla migliore tradizione di contrappasso dantesco. Dopo aver attraversato la Sierra Morena e aver perso i suoi due compagni di viaggio, Alfonso si ferma in una locanda dove nottetempo viene condotto da due dame in déshabillé: le due sorelle Emina e Zibeddé Gomelez che, oltre a scoprirsi sue cugine, non esitano a sottolineare la loro noncuranza per tutti quei limiti borghesi che la morale vorrebbe fare discendere dai legami di parentela. È facile immaginare l’allegra evoluzione della serata per il prode Alfonso, che senza pensarci su due volte abbraccia la loro “santa legge” e consacra giuramenti a caso bevendoci sopra liquori da coppe di smeraldo. Quale uomo non avrebbe fatto lo stesso al suo posto? Pensate quale dolcezza, poi, risvegliarsi tra due cadaveri. Ebbene sì, perché il povero Alfonso si ritrova sotto la forca di Los Hermanos, con i corpi dei due fratelli non più appesi ma sdraiati al suo fianco. Costretto ad ammettere a se stesso di “aver passato la notte con loro”. Che dire. Pensateci la prossima volta che vi troverete a fantasticare su un ipotetico ménage à trois.
Il protagonista de Il pozzo e il pendolo di E.A. Poe. Sicuramente non deve essere piacevole per un condannato dall’Inquisizione di Toledo svegliarsi nel buio totale con la convinzione di essere stato sepolto vivo. Se poi si scopre casualmente che lo spazio destinato alla prigionia è in realtà così ampio da ospitare un profondo baratro dal quale orde di topi famelici giungono a deprivare di sonno e cibo l’atmosfera non diventa certo più accogliente. Ma Poe, lo sappiamo, non si fa mancare mai nulla: al primo risveglio già di per sé traumatico ne fa seguire un altro in cui la povera vittima si accorge della presenza di un grande pendolo dall’estremità affilata come la lama di un rasoio che discende inequivocabilmente verso il basso con il chiaro obiettivo di ridurlo a brandelli o, al più, di spingerlo al salto nell’infernale pozzo. Un’ardua decisione da prendere appena svegli.
Nel racconto All’idrogeno di Buzzati il protagonista viene svegliato nel cuore della notte da una telefonata, fatto già in sé talmente traumatico da farlo entrare di diritto in questa top 5. Alla prima telefonata ne segue un’altra, allarmata e a tratti vaneggiante, fino a quando lo squillo del telefono non viene sostituito da quello del campanello. Tutti gli inquilini del palazzo guardano in preda al panico verso il piano inferiore, dove qualcuno sta trascinando una bomba atomica («All’idrogeno! All’idrogeno!»): tra tutti i posti del mondo proprio lì, “in via san Giuliano 8”, ignorando la presenza di bambini, di ospiti di passaggio, di quelli che il giorno seguente avrebbero dovuto mangiare gli agnolotti. Ma per fortuna la bomba, essendo un pacco come tutti gli altri, ha un suo destinatario preciso, “è personale”: pare che sull’etichetta ci sia un cognome che comincia per B come Bergamo, e continui con U come Udine… Ecco, beh, capirete che svegliarsi con un “Signor Tal dei Tali? C’è una bomba all’idrogeno per lei, può scendere a ritirarla?” – tra le risa di sollievo del vicinato, per di più – non è certo il miglior modo di cominciare una giornata.
La medaglia d’oro va però senza dubbio a Gregor Samsa. Sì, qui ci piace vincere facile. Ma non citare il più emblematico personaggio kafkiano in un top dedicata ai risvegli peggiori della letteratura sarebbe quasi inammissibile. Tutti abbiamo tremato d'angoscia e orrore di fronte al famoso incipit: «Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sogni inquieti, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto». Del povero Gregor parleremo poco, perché tanto è già stato detto (e scritto) sulla sua tragica sorte. Non ci si dilungherà sui dettagli fisici né su quelli del dramma familiare e personale che continua a turbare generazioni di lettori dal 1915 a oggi. Ci limiteremo ad ammettere molto semplicemente che, di fronte alla prospettiva di svegliarsi scarafaggio, la notte da simil necrofilo di Alfonso Wan Worden sembra una sorte quasi auspicabile.
E voi? Avete dei risvegli letterari traumatici da rievocare?
(N.B.: Non garantiamo sull’efficacia del servizio di supporto psicologico, ma con la solidarietà letteraria ce la caviamo piuttosto bene.)
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