
Nel 1993 i giudici del premio Lambda per il miglior romanzo gay o lesbico si trovarono di fronte a un bel dubbio: decidere se Written On The Body [Scritto sul corpo] di Jeanette Winterson fosse o meno un libro a tematica omosessuale. Non solo la voce narrante del romanzo, volutamente privata di ogni connotazione di genere, ma anche l’intreccio narrativo costruito su un classico triangolo amoroso, spostavano l’attenzione verso una narrazione più tradizionale ed eteronormativa.
A due anni di distanza, Jeanette Winterson tornò sull’argomento con un saggio dedicato all’intreccio tra scrittura e sessualità. Nel testo “La semiotica del sesso” si leggeva:
Ero in una libreria, non molto tempo fa, quando una giovane donna mi si avvicinò.Mi disse che stava scrivendo un saggio sulle mie opere e quelle di Radclyffe Hall. Potevo essrle d’aiuto?“Sì”, risposi. “Le nostre opere non hanno niente in comune.”“Pensavo che lei fosse lesbica”, disse. […]In fin dei conti, io sono una pervertita e non mi darebbe problemi dividere il mio letto con un morto. Questo letto sotto forma di libro, o questo libro sotto forma di letto, ci deve accogliere tutte, perché, qualunque sia il nostro stile e talento, la nostra filosofia, classe, età e inquietudine, noi siamo lesbiche e non è forse questa la chiave d'oro che apre l’unica chiave d’accesso alle nostre opere. […] Sono una scrittrice che si dà il caso che ami le donne. Non sono una lesbica che si ritrova a fare la scrittrice.
Un rifiuto che non è una negazione della propria identità, né una rinuncia alla possibilità di autorappresentarsi come lesbica e/o come voce narrante. Concetto che sarà messo in risalto anche nel romanzo successivo di Winterson, Arte e menzogne:
Cosa fanno le lesbiche a letto?“Diglielo” diceva Sofia, la nona musa.Dirglielo?“L’autobiografia non esiste: è solo arte e menzogna.”
Come è stato spesso messo in evidenza, il narratore senza gender di Scritto sul corpo, prima di incontrare Louise, conosce solo una forma stereotipata d’amore, quello che viene raccontato abitualmente dalla cultura occidentale. Dopo l’incontro, invece, il/la narrat(ore/rice) si trova di fronte al dilemma di come vivere ed esprimere l’amore attraverso modalità e un linguaggio nuovo, non corrotto, che non riproduce ad infinitum dei luoghi comuni: “si tratta di una storia sulla storia, sulla possibilità di raccontare la stessa storia in una forma diversa, ma non in una forma irriconoscibile” (M. Farwell).
La perdita che è la misura dell’amore, cui fa allusione l’incipit del romanzo, è quella a cui il/la narrat(ore/rice) deve piegarsi per recuperare Louise, riconsegnata al marito, noto oncologo, nel momento in cui nel libro entra in scena la malattia. Ma è anche la perdita dell’immagine stereotipata del corpo femminile, attraverso la quale poter inscrivere il corpo lesbico non più come oggetto della narrazione, ma come primo e unico soggetto di essa.
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