
Non so se sono la più adatta a scrivere di William S. Burroughs. L'oggettività verso qualcuno che ha avuto, seppur involontariamente, un ruolo così grande nella mia vita è difficile mantenerla. E pretenderla. Se poi ci aggiungiamo che è nato solo tre giorni prima di me non possiamo non parlare di destino.
«Alto un metro e settanta, strano, ordinario, come un timido impiegato di banca». Così lo descrive Jack Kerouac. Difficile da credere che uno tra i più geniali e trasgressivi scrittori americani del Novecento possa essere rappresentato come un normalissimo burocrate.
Tossicomane, fuorilegge e vagabondo perennemente in esilio, uccise la moglie in circostanze mai del tutto chiarite e perse tragicamente il giovane figlio. Conobbe la prigione, i bassifondi, la giungla e la follia. Sperimentò il lato oscuro della vita, dalle droghe alla solitudine e lo celebrò in una scrittura frammentaria e frenetica che ha ispirato intere generazioni di autori e musicisti.
Un colletto bianco, quindi?
Il piccolo Burroughs comincia prestissimo ad interessarsi alla scrittura. Il primo libro che gli cambia la vita è l'autobiografia di Jack Black, You can't win. Non puoi vincere. E già il titolo sembra sintetizzare tutta la sua esistenza. Nel corso della sua vita, ad ogni passo fatto da Tangeri a Città del Messico, da Parigi a Londra fino a New York, sembra veramente appartenere a un'altra galassia. E probabilmente è vero. Per certi versi, profeta della non esistenza, è stato un alieno più che un caso letterario. Un po' per la sua vocazione alla devianza («Negli Stati Uniti o sei deviante o muori di noia») e un po' perché la sua fama di rivoluzionario ha in gran parte oscurato il merito dello scrittore.
Ma lui, William, con le parole ci ha trascorso un'intera vita, tagliandole, esecrandole, disintegrandole, ricostruendole (cut-up & fold) in un puzzle infinito e il mestiere dello scrittore l'ha sempre difeso, considerandolo un po' come una delle ultime magie della civiltà occidentale. Il suo ideale di scrittura, di cui abbiamo una descrizione accurata in Scrittura creativa, prevedeva la costruzione di universi veri e/o immaginari e le sue visioni hanno praticamente anticipato il futuro tanto da poterlo quasi descrivere come un alchimista della parola.
Alla sua uscita Il pasto nudo sarà un vero e proprio shock culturale. Il coraggio, infatti, di vedere e raccontare cosa stiamo mangiando con una scrittura nitida , brutale e persino crudele rappresenterà una rivoluzione e una lucidissima e metafisica percezione del futuro.
Siamo nutriti, imboccati quotidianamente di notizie di morte, di esecuzione, di assassini.
Con la Nova Trilogy (La macchina morbida, Nova Express, Il biglietto che è esploso), poi, sarà artefice di un fantasioso e grande complotto che si rivelerà nulla in confronto alla galassia di operazioni segrete che l'FBI e la CIA avevano ordito proprio in quegli anni e che culmineranno ed evaporeranno nel 1974, con il Watergate.
Visionario e anticipatore nei suoi libri racconta di sé, intersecando la sua biografia alle storie narrate romanzo dopo romanzo. Da Junkie a Checca, da La febbre del ragno rosso a Ragazzi selvaggi, da Strade morte a Terre occidentali. E molto altro. Distinguere la storia dalla vita vera non è sempre possibile perché per Burroughs la scrittura era qualcosa che andava oltre i libri e la letteratura. Lo scrittore è solo uno strumento, come l'ago infilato nella pelle o la felicità di una pistola calda.
Oggi, 5 febbraio, ci ricordiamo di quel giorno di cent'anni fa quando a Saint Louis, nel Missouri, si affacciò alla vita un bambino di nome William. Un bambino che la vita l'avrebbe mangiata e sputata, che sarebbe stato parte della vita di altri nomi eccellenti nonché compagno di una delle «menti migliori della nostra generazione» (Allen Ginsberg) e che avrebbe fatto sentire la sua aura maledetta e la sua capacità descrittiva fino a noi. Cento anni dopo.
Io, oggi 5 febbraio, voglio anche ricordarmi di quel giorno di luglio di tanti anni fa quando la mia casa era a San Francisco e quando in una dolcissima chiacchierata con Lawrence Ferlinghetti si diceva che così non ne nasceranno più. Migliori o peggiori sì, ma non così. Pazzi, allucinati e puro jazz.
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