
(photocredit: dailymail)
Da quando sono stati rilasciati questi benedetti dati dell'Istat sullo stato della lettura in Italia, è come se per parlare di libri si debba necessariamente avere un tono da funerale. La situazione è grave, eh, parecchio grave, ma non è niente che non potessimo immaginare, niente che in fondo già non sapessimo. Eppure al momento gli animi sono questi, ma è un po' come se debbano essere questi, come se uno debba vestirsi a lutto anche se pensa che è una cosa superata, esagerata, inutile ma che si fa. Be', direi che invece il miglior modo per levarci subito di torno questo strascico funebre che ci ha mandato di traverso la fine del 2013 e rischia di non farci godere a pieno l'avvio del 2014 è cominciare a vedere dove c'è del positivo, se c'è, e farci forza con quello, facendoci venire anche qualche bella idea. In Italia, ad esempio, lo scorso anno hanno abbassato le serrande 150 librerie indipendenti, ma il fenomeno è purtroppo universale, così come lo sono i tentativi di reazione.
Per una serie di motivi, nel nostro Paese le condizioni sono più difficili rispetto a Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti. È più difficile fare il libraio, fare l'editore e lavorare nei settori culturali in generale. Perché? Perché sì. Le ragioni sono molteplici e anche complicate, perciò ormai siamo abituati — come per il lutto sopracitato — a prendere per buono il dato di fatto: è così, lo sappiamo. Non starò qui a lanciarvi addosso secchiate di ottimismo come il più simpatico degli animatori turistici, ma vorrei ripetere che dare per scontata una cosa significa sopportarla, più che affrontarla. Invece, seppur con risultati minimi e altalenanti, anche chi prova a vivere di e per i libri può provare a vendere cara la pelle. Si può reagire dall'alto, come ha fatto Aurélie Filippetti oppure ci si può aiutare tra autori e librai, come con l'Indies First Day. Si possono, poi, trarre vantaggi dalle situazioni ostiche. I piccoli librai indipendenti, ad esempio, devono fronteggiare eroicamente un mostro mitologico con il corpo a forma di Feltrinelli e la testa di Jeff Bezos che sputa Kindle infuocati. Internet però non è solo uno spauracchio. David Ford, proprietario di un negozio di libri usati a Saltaire, West Yorkshire, ha saputo trarre dal suo momento di maggiore sconforto la forza di non colare a picco.
Chiamatelo colpo di reni, chiamatelo canto del cigno, chiamatelo sveglio, ma Ford pochi giorni fa ha tentato il tutto per tutto e sulla pagina Facebook della sua libreria ha pubblicato un post in cui ha detto chiaramente: ho bisogno urgentemente di clienti. Perché? Perché in un giorno aveva incassato appena 7,50 sterline e perché, giusto per non farsi mancare niente, nel periodo natalizio il lavoro è diminuito del 50% a causa di lavori stradali che hanno bloccato il marciapiede davanti al negozio. «Io continuerò a resistere come potrò, ma sto iniziando a cercare un altro lavoro». Forse a qualcuno sembrerà esagerato, ad altri patetico, fatto sta che dopo questo appello la Saltaire Bookshop ha avuto un incasso quaranta volte superiore a quello dei giorni precedenti, con i clienti accorsi da tutte le parti. In una sola parola: intelligenza. Ford è consapevole della crisi delle librerie indipendenti, ma sa anche che frignare non fa che accelerare i tempi di chiusura, perciò per sopravvivere bisogna impegnarsi e cercare vie nuove utili ad avvicinare i clienti. Una via nuova sono i social media, ma le possibilità sono diverse. Gli eventi dal vivo, ad esempio, tra presentazioni con autori e gruppi di lettura non fanno che sfruttare al massimo la componente sociale della lettura. Perché, e ormai internet ne è solo la più vistosa conferma, leggere è un'attività assolutamente non solitaria e anzi improntata sulla condivisione, una caratteristica che non può non sposarsi alla perfezione con contesti locali e intimi come le librerie di quartiere. Non è affatto una passeggiata, tutt'altro, ma l'importante è sapere che esiste un'alternativa al requiem per il libro. D'altronde peggio di così non può andare, no? E allora perché non provare qualcos'altro.
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