
Il primo giorno di prima elementare la maestra ci fece disegnare un treno sul quaderno. Sopra ci scrisse “Il trenino Tutù” e la storia era quella di un treno con un bel sorriso che decideva di esplorare il mondo. Scendeva in fondo al mare e faceva amicizia con i pesci, andava in mezzo alla foresta e chiacchierava con le piante, e via dicendo.
In seconda elementare scrissi un racconto dal titolo “Il pennarello arancione”; era la storia di un pennarello usato tantissimo e che quindi si consumava prima degli altri. Riceveva un solenne funerale dagli altri pennarelli durante il tragitto verso casa, all’interno della cartella. Queste sono due cose successe alla fine degli anni 80 e io ancora le ricordo alla perfezione, perché in qualche modo, ogni volta che penso a una storia, sono due immagini che riemergono con prepotenza.
Per me rimane un mistero il motivo per cui, milioni di anni fa, l’uomo ha capito che poteva raccontare dei fatti per puro divertimento, per intrattenere e intrattenersi. Ha smesso di farlo semplicemente per tramandare un sapere, ma l’ha fatto per divertirsi, per stimolare la propria fantasia e quella altrui. E noi amanti dei libri, della lettura, della narrazione in senso più ampio, siamo figli di quel preciso istante.
Lev Tolstoj fonda la sua prima scuola a metà dell’ottocento. Lo fa nella sua tenuta di Jasnaja Poljana ed è una scuola che ha come obiettivo quello di istruire e stimolare la fantasia dei figli dei contadini, che non potrebbero altrimenti ricevere un’istruzione. Nel giro di una decina di anni le scuole fondate da Tolstoj sono dodici; sulla porta di Jasnaja Poljana c’è un cartello con scritto “Entra ed esci liberamente”, frase che rappresenta in toto la libertà che Tolstoj voleva lasciare ai suoi piccoli alunni e alla loro fantasia.
I quattro libri di lettura, usciti qualche mese fa in una nuova edizione di Isbn Edizioni, con le splendide illustrazioni di Alice Beniero, altro non sono che le storie scritte dagli allievi delle scuole di Tolstoj, con l’aiuto del grande scrittore russo.
Dentro ci sono tutta la fantasia, l’innocenza, l’astuzia dei bambini. Dentro c’è il loro sguardo sulle cose, a volte simile al nostro, altre volte con una prospettiva diametralmente opposta.
I pensieri sono espressi in modo diverso: a volte sotto forma di favola, altre di poesia, alcune altre di leggenda; altre sono semplicemente spiegazioni di piccoli eventi, o ricordi della vita contadina e della quotidianità. Altri ancora sono pensieri di tre righe soltanto, piccole verità perentorie alle quali non si può far altro che annuire.
Sono favole perfette per tutti, bambini e non più bambini, da leggere la sera prima di andare a dormire, o aprendo a caso il libro per trovarci una risposta. Sono storie scritte tra il 1870 e il 1875, eppure sono in grado di sorprendere e far sorridere con la loro semplicità. Un bellissimo regalo per i bambini che si avvicinano alle storie, e per i genitori che possono (ri)leggerle, con occhi nuovi.
Un tale, cieco dalla nascita, domandò a uno che ci vedeva: “Di che colore è il latte?”.
Quello che ci vedeva gli rispose: “Il colore del latte somiglia a quello della carta bianca”.
Il cieco domandò: “Ma forse questo colore fruscia sotto le mani come fa la carta quando la strofini?”.
Quello che ci vedeva rispose: “No, è bianco come la farina”.
Il cieco domandò: “Ma forse è morbido e composto di tanti granellini come la farina?”.
Quello che ci vedeva rispose: “No, è bianco e basta, come una lepre, una di quelle bianche”.
Il cieco domandò: “Ma allora è peloso e morbido come una lepre?”.
Quello che ci vedeva rispose: “No, il bianco è tale e quale alla neve”.
Il cieco domandò: “Ma allora è freddo come la neve?”.
E così, per quanti paragoni potesse fare quello che ci vedeva, il cieco non riuscì a capire com’era fatto il colore bianco del latte.
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