
Photocredit: Edward Gorey
“La ben rotonda verità” Parmenide
Tra e-book, social network, crollo della lettura e talent show, l'editoria italiana sta cambiando. Nel rimestamento demografico, tecnologico e pecuniario delle case editrici restano poche certezze. Agre come sempre, ma declinate in modi nuovi. Per districarsi nell'industria che corre con le forbici in mano verso lo schianto, ecco la prima puntata di un dizionario dei luoghi comuni della nuova editoria italiana.
Algoritmi
Sveliamo subito un segreto. Tutti gli uffici marketing hanno un algoritmo per calcolare le chance di vittoria del proprio libro candidato allo Strega. Non sappiamo tuttavia quali dati lo animino: età dei giurati, copie vendute, numero di caffè serviti alla premiazione? Eppure di solito ci azzecca. Quando cala il sipario sul concorso che potrebbe salvare una casa editrice di medie dimensioni dal fallimento (a proposito, quest'anno come buona azione di Natale abbracciate un editore), l'algoritmo non viene abbandonato all'horror vacui del suo foglio Excel. Viene usato – ho i testimoni – per calcolare le performance dell'Italia agli Europei. Anche qui, si ignorano i dati di partenza ma si ammirano gli esiti.
Crisi
I giornali chiudono, i contratti a progetto diventano Partite Iva, gli evidenziatori spariscono dalla lista degli ordini della cancelleria, ma c'è ancora chi usa la calcolatrice con scontrino per fare conti che tutti noi facciamo sull'iPhone (o a mente, se non siamo finiti a lavorare nell'editoria solo perché non capivamo la matematica). C'è un posto per gente come questa. In una grande casa editrice milanese, pare, è stato allestito un ufficio per accompagnare il caro non (ancora) estinto verso la pensione. Soprannominato “Ufficio Uscita”, è una stanza all'angolo Sud dell'edificio, marginale, confortevole, dove giocare a carte (vere) rischiarati dalla luce del pc bloccato sulla schermata d'apertura del Solitario Windows.
E-book
Il digital divide è una cateratta sociale. Nessuno sa cosa ci sia sul fondo della fossa delle Marianne tecnologica. In queste acque nuotano vari livelli di consapevolezza. Il più profondo mai toccato, stimato ben al di sotto delle ventimila leghe, narra di un'anziana editoriale che chiama gli e-book “manufatti elettronici”. Sospesa tra caratterizzazione museale, reminescenza Sci-Fi e sforzo sincretistico tra astratto e concreto, tra quantificabile e liquido, questa definizione ci indica che dall'abisso si può solo risalire.
Open-space
Creativi ma non troppo. Taciturni, emaciati, asociali, salvaspazio, gli editoriali possono essere facilmente racchiusi entro pannelli in ampi open-space, in cubicoli senza tetto, tutti a guardare lo stesso firmamento di ragnatele ed elastici impigliati nel lampadario. In quell'orifizio tra il pannello e il soffitto l'occhio dell'altro vaga, s'insinua, sancisce l'ariana discriminazione tra gli alti e i bassi. Ferunt di editoriali affetti da “sindrome da open-space”, tormentati dall'idea di essere spiati – dal caporedattore, dalla DDR, o da Dio ("che bisogno hai di essere ovunque – persino in bagno?"). Nelle grandi case editrici, psicologi aziendali si occupano dei casi, senza risolverli, o forse accompagnandoli verso l'Ufficio Uscita. (Vedi alla voce “Crisi”)
Quarte
Raramente risvolti e quarte di copertina vengono scritti sotto dettatura della Musa. Spesso chi li redige non ha potuto leggere il libro, ed è fortunato se qualcuno (un collega) o qualcosa (una prefazione) glielo racconta. Certi risvolti si scrivono da sé, generatori automatici di luoghi comuni, lasciando ai volenterosi uno spiraglio di libertà, o meglio, l'occasione di compiere una piccola vendetta. Un mio amico ha fatto una lista di parole da inserire a caso nelle sue quarte. Finora ha calato nel contesto di saggi insospettabili termini come “sorgivo”, “carabattole”, “vangelo selvaggio (?)”. La sua prossima sfida è “turacciolo”, ma è un anno che ci prova invano, in attesa di un manuale per sommelier.
To be continued.
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