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The Guardian fa crowdsourcing

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Ogni volta che pranzo/ceno con mio padre, lui solleva polveroni inverosimili ponendosi dubbi che non verrebbero in mente a nessuno. Alla San Tommaso. Tipo "chi l'ha detto che Armstrong è stato sulla Luna? Ne hai le prove?" oppure "Ma tu hai letto da qualche parte che le proteine esistono e fanno bene e sono diverse dalle vitamine, ma dove l'hai letto e chi l'ha scritto?". Probabilmente è tutta una grande gag, ma la questione di fondo, come sempre è quando mio padre parla, rimane: CHI ha scritto quello che tu consideri informazione/scienza/sapere? Chi era sta gente e come fai ad essere sicura che non avessero dei secondi fini? Come fai a sapere che non sia tutto un piano per imbrogliarti?

Adesso, complottismo a parte, mai come dopo l'entrata in scena di Internet e della digitalizzazione, lo scetticismo è diventato sano. Anzi, buona norma e regola. Le fonti sono difficilmente verificabili in rete, dove chiunque può produrre qualsiasi contenuto in qualsiasi momento.

La questione del problema delle fonti si solleva anche con la nuova app lanciata il 16 Aprile scorso dalla testata The Guardian: si chiama Witness ed è una piattaforma studiata appositamente per tutti i wannabe/freelance/amateurs-giornalisti. L'app è utilizzabile da dispositivo mobile come da pc, e consente all'utente, il tipico Medio Man, di improvvisarsi giornalista, cimentandosi con le assegnazioni emesse dalla redazione. Dunque i redattori oubblicano un'assegnazione, la postano su Witness, tutti i Medio Men gareggiano e concorrono alla stesura del pezzo migliore. Questo per la gloria, che non è la lavandaia single e un po' facile del quarto piano, ma la pura fulgida soddisfazione di vedere il proprio pezzo pubblicato su Witness (previa moderazione, filtro, setaccio della redazione). Se si è proprio bravi bravi, forse il pezzo sarà pubblicato anche sul sito di The Guardian. E se si è proprio eccezionali, magari, forse, può essere che lo mandino addirittura in stampa.

Witness, realizzato in collaborazione con EE (la più potente compagnia di comunicazione digitale in Great Britain – s'è recentemente comprata Orange e T-mobile e distribuisce 4G come caramelle), si basa sui principi dell'Open Journalism, politica giornalistica di cui Alan Rusbridger – editor del The Guardian – è fautore. L'Open Journalism è, per farla molto breve, crowdsourcing giornalistico: l'informazione libera e accessibile a tutti deve appartenere a tutti, dunque tutti possono scrivere.

Ed ecco che torniamo al problema delle fonti: va bene, la redazione del The Guardian filtra, setaccia i pezzi, ma poi come facciamo ad essere sicuri che i redattori non siano, come spesso accade, poco imparziali o addirittura di parte? Che tipo di selezione faranno?

Abbiamo noi tempo di mantenere uno spirito critico ed uno scetticismo tali da poter passare ore a rassegnare almeno cinque testate al giorno per tenerci informati? O anche: preferendo il crowdsourcing, l'Open Journalism e l'informazione digitale, come possiamo essere certi delle fonti, di quanto stiamo leggendo? Che ne so che lo scoop del Lupo Cattivo Bollito non l'abbiano preso da una gag su Twitter ed uno stagista esperto in redazione al The Guardian non l'abbia presa per buona? Perché io ci ho creduto!

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