(photocredit: PR Week)
Oggi più che mai se fai o dici qualcosa che può dare fastidio a molte persone sei in grado di ricevere i commenti (ovvero gli insulti) con grande facilità. La chiamano gogna mediatica e nell'epoca dei social network possiamo averne un assaggio ogni giorno, per i motivi più disparati. Riguardo a questa piaga dei giorni nostri il giornalista Jon Ronson ha scritto un libro, So You've Been Publicly Shamed (in Italia si intitola I giustizieri della rete ed è uscito lo scorso ottobre per Codice edizioni) e per la promozione l'editore Macmillan ha pensato di mettere l'autore stesso alla gogna. Una gogna vera, di legno, a forma di hashtag, dove Ronson si è esposto alla pubblica umiliazione, per pubblica provocazione.
Spesso la gogna mediatica viene evocata da chi ne viene colpito e se ne lamenta. Se sei un personaggio molto noto della politica, della cultura, dello sport o dello spettacolo si presume che tu abbia un grande uditorio e, oltre a un grande conto in banca, anche una grande responsabilità. Quest'ultimo passaggio non è sempre messo in conto, così quando il cowboy o la cowgirl di turno fa un'uscita discutibile, finalizzata consapevolmente alla polemica oppure finalizzata inconsapevolmente a essere una cazzata, viene messo in moto il meccanismo di tweet, hashtag, defollow, commenti su Facebook, meme, pagine ed eventi sarcastici, Lercio, Osho.
Ieri è toccata allo scontro tra Mancini e Sarri, ma ormai ce n'è uno ogni giorno, per tutti i gusti e per tutti gli argomenti. I temi sensibili sono l'omofobia e la xenofobia in tutte le loro declinazioni, ma delle volte uno finisce al centro delle polemiche senza che ci sia proporzione tra la "colpa" e le reazioni da essa derivate (e mi viene in mente il noioso putiferio scatenato dalle ingenue dichiarazioni della Miss Alice Sabatini). Il punto è che la democrazia o c'è o non c'è. Il troppo in democrazia andrebbe sempre e comunque considerato positivo, perché è il concetto stesso di estensione a suggerire qualcosa di democratico (al contrario della restrizione). Quindi possiamo lamentarcene quando si esagera, ma sono i rischi che vanno calcolati, gli effetti collaterali da tenere sempre in conto. Per come la vedo io, è senz'altro un mondo più difficile per i comunicatori, in cui si viene obbligati a ragionare su quello che si dice e ad accettarne le conseguenze, con la consapevolezza che comunque qualcosa può andare storto. E non è il migliore di mondi possibili, ma ciò non significa che sia il peggiore.
Torniamo a Ronson piazzato nella gogna-hashtag in strada a Londra. Dietro a lui c'era un grande manifesto a spiegare che un tempo umiliavamo le persone mettendole alla gogna, mentre oggi ci basta un tweet. Il responsabile del marketing della Macmillan, Fergus Edmonson, ha spiegato su PR Week: «Volevamo usare un out-of-home media per fare qualcosa che fosse divertente, non convenzionale, accattivante e provocante. Vedere qualcuno messo alla gogna era uno spettacolo comune nel medioevo, non a Shoreditch High Street nel 2016». E tra i passanti qualcuno rideva, qualcuno osservava preoccupato o sconcertato. Nel suo libro Ronson analizza i casi più famosi di linciaggio online ed è partito proprio da un'esperienza personale. Il suo account Twitter, infatti, fu clonato da un gruppo di accademici che poi si divertirono a pubblicare a nome suo, creandogli qualche imbarazzo. Poi quando lui ha denunciato l'accaduto sono stati gli stessi accademici a essere bersagliati. Così ha deciso di studiare e raccontare come funziona questa piaga dei giorni nostri e in che modo ha condizionato la vita delle persone, ponendo fine anche a più di una carriera.
La trovata pubblicitaria della vera gogna secondo me è geniale e particolarmente azzeccata (e infatti sono qui a parlarne). Io ho un debole per gli scrittori che si prestano a queste cose, anche perché mica tutti sono disposti a starsene in strada in quel modo, anche solo per scherzo. Le copie si vendono anche standosene al calduccio, facendo qualche presentazione, letture, comparsate dove serve. Ronson invece ha assecondato quel mattacchione di Edmonson e ogni lettore in più sarà a parer mio strameritato. E visto che di libri continuiamo a venderne pochi, chissà che questa campagna non possa dare spunti anche ad altri uffici marketing editoriali. Ci ritroveremmo con autori fantasy mascherati da elfi che cavalcano draghi sul marciapiede oppure con autrici di romanzi erotici che sculacciano i passanti. Certo, una fabiofaziata ti fa vendere di più, ma vuoi mettere? Io la frustata me la prenderei volentieri, e forse comprerei più volentieri il libro. Ma in fondo ognuno ha i propri gusti, no?
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