Nel momento in cui scrivo siamo in piene Finals NBA; per essere precisi stanotte (14 giugno) ci sarà gara 5 tra Golden State e Cleveland, ferme sul 2 a 2. Se reggo, probabilmente proverò a guardarla in diretta, dalle tre della mattina. Guardo un sacco di sport, soprattutto pallacanestro. Mi sembrano narrazioni altrettanto, se non più interessanti della maggior parte dei film e delle serie tv in circolazione attualmente. E visto che i film e le serie tv in circolazione attualmente sono una bomba, ci siamo capiti. La cosa che mi piace di più dello sport, soprattutto della pallacanestro, è la sua ineffabilità: mi pare che il basket, per esempio, non si fondi tanto sugli aspetti tecnici o tattici (tiri, rimbalzi, assist, palleggio, passaggio, schemi e giochi) quanto su altre categorie, sfuggenti e praticamente impossibili da definire, la più affascinante e misteriosa delle quali è sicuramente il concetto di ritmo.
Spesso si dice che la differenza tra un tiro sbagliato o segnato risieda nel ritmo del tiratore: se prendi un tiro in ritmo, se il passatore ti mette in ritmo, è molto più facile segnare. Essere in ritmo significa, secondo me, avallare la struttura interna e profonda del gioco, interpretarlo nella maniera giusta, rispettandone la grammatica e la sintassi. Difficile spiegarsi perché il ritmo è una cosa che vedi e che senti, non una cosa che illustri. È il naturale fluire dell'azione d'attacco, è fare ciò che il flusso dell'azione ti suggerisce. Un po' come le venature del marmo: se devi tagliare il marmo puoi farlo nel modo che vuoi ma, se segui le venature della materia, viene molto più facile. È il marmo stesso che ti suggerisce dove tagliare. Se segui le venature del gioco, se entri in ritmo, fare canestro è molto più facile. È il reward, il premio che ti conferisce la pallacanestro per avere seguito le sue indicazioni, per averla soddisfatta, come un dio bizzoso, saggio e magnanimo.
Il ritmo mi pare abbia tre modalità: lo si prende (il tiratore riceve la palla al momento giusto, carica il tiro nei tempi giusti e rilascia), lo si dà (il passatore segue la struttura dell'azione e passa la palla con i tempi giusti al compagno giusto) e, la cosa più difficile di tutte, in ritmo ci si mette da soli - i grandi tiratori, Steph Curry per esempio, Reggie Miller quando giocava, hanno un legame così profondo con la struttura del gioco da riuscire a mettersi in ritmo da soli, costruendosi un tiro dal palleggio senza che quello stesso tiro risulti forzato. Prendere ritmo, dare ritmo, mettersi in ritmo: sei parole che mi sembra riassumano perfettamente il significato della pallacanestro. Bene, hai finito con questa noia non richiesta? Sì.
Onora il babbuino, l'ultimo romanzo di Michele Dalai, funziona esattamente in questo modo. Leggendolo, mi venivano in mente i tempi comici, quell'aspetto – spesso ineffabile come il ritmo nella pallacanestro – indispensabile per far ridere la gente. Dire le cose giuste al momento giusto nella giusta concatenazione. Far sembrare naturale quello che costruisci artificialmente, renderlo ovvio nell'accezione più positiva e illuminante del termine. La storia del romanzo è raccontata in prima persona in un dialogo con qualcun altro – non si capisce chi sia fino alle ultime pagine – da Cardo, un delinquente di bassa lega con un leone che vive nel suo giardino e che sta organizzando il colpo della vita con alcuni complici decisamente incapaci. La narrazione si divide tra l'autobiografia di Cardo, che Cardo racconta in prima persona al suo interlocutore/simulacro, e i suoi dialoghi al telefono con Sergio, un mezzo idiota che deve fare da palo per la rapina. È molto difficile mettere in piedi e rendere stabile una costruzione di questo genere, tutta incentrata sullo stesso personaggio che si mette continuamente in discorso senza un vero confronto dialettico. Per funzionare, ci vuole ritmo, lo stesso ritmo della pallacanestro, altrimenti viene fuori una cacata illeggibile. E Onora il babbuino ce ne ha, di ritmo, e non poco. Non a caso, forse, Michele Dalai è famoso anche per capirci e scriverne di sport.
Onora il babbuino si articola attraverso le tre modalità del ritmo che ci siamo precedentemente inventati senza (ancora) nessuna querela da parte del CONI, della FIBA o dell'NBA:
- il libro prende ritmo dai brevi capitoli di dialogo telefonico tra Cardo e Sergio, che provano a organizzare i dettagli della rapina; sono dialoghi veloci, molto divertenti e perfetti nei tempi comici e, non a caso, proprio la prima di queste telefonate apre il romanzo, facendo capire subito quale sarà il ritmo di tutta la narrazione;
- il libro dà ritmo al lettore, grazie all'alternarsi di lunghi flashback raccontati in prima persona con tono, timbro e lessico molto colloquiale con le brevi telefonate tra i due mariuoli. Quando lo leggi, sei continuamente portato ad andare avanti, a voltare pagina, a seguire quasi con piccoli movimenti della testa il ritmo delle pagine che si susseguono inesorabili;
- il libro si mette in ritmo da solo con la scrittura, nel modo in cui Cardo racconta, continuamente orientato verso il suo ignoto interlocutore, beccandolo e imbeccandolo continuamente, facendogli domande retoriche, prendendolo per il culo, provocandolo, bullandosi del suo passato e della sua superiorità come uomo, professionista e scopatore.
Onora il babbuino è contemporaneamente Steph Curry che riceve un passaggio in angolo e rilascia la palla in un decimo di secondo, Steph Curry che sfrutta un pick and pop con Clay Thompson e gli passa la palla con i tempi giusti e Steph Curry in transizione che fa due palleggi, uno step back e spara da otto metri. In ciascuno di questi tre casi, la palla entra sempre nel canestro, rendendo Onora il babbuino l'equivalente di un tiro da nove punti. E quando fai un tiro da nove punti in un'azione, la partita la vinci di sicuro.
Michele Dalai – Onora il babbuino – Feltrinelli Editore 2015 – 144 pagine – 13 euro
L'articolo Michele Dalai – Onora il babbuino sembra essere il primo su Finzioni.