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Rosamond Lehmann | Risposte nella polvere

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Risposte nella polvere è il gioco dell’inversione delle parti. Per ogni situazione, si dà il caso, è possibile adottare punti di vista diversi tra loro. Si possono vedere le cose in un dato modo o si può vederle anche in modo opposto. Un litigio, la bellezza di un film, la scelta appena fatta. Quante volte avete fatto una cosa per voi piena di senso che per qualcuno era un’assurdità? Prospettive.

Risposte nella polvere è un cambio di prospettiva. È un cambio di prospettiva in una storia che con voi non c’entra ma anche sì. Una salita che diventa discesa. Il cambio di prospettive è potenzialmente la cosa più salutare che possa esistere dato il pensiero, credo. C’è questa Judith che inizia il libro e, diciamolo, potrebbe sembrarci un po’ una sfigata all'inizio. Carina, aggraziata, innocua, nessuna problematicità a ingarbugliarle la via, nessuna apparente difficoltà; abita in questa casa quieta proprio vicino a un’altra casa piena di ragazzi più o meno coetanei, da ora i Fyfe. Questi Fyfe, cinque imparentati in almeno tre modi diversi, cominciano ad abitare l’immaginario e la vita di Judith, fisicamente presenti o meno, diventando un mondo parallelo, un mondo nella testa. Judith svenevole alla nausea in certi tratti, così delicata e compita che se esistesse ci sarebbe da chiederle in che mondo vive o da dove viene e che per la miseria ding dong la strega è morta. Ma più che altro sembra lei vada. Prospettive.

Risposte nella polvere Rosamond Lehmann | Risposte nella polvereQuesto stesso libro, pare, sia stato oggetto di prospettive diverse. Uscito nel 1927, quando uno scritto sull’educazione sentimentale di una signorina, comprensivo di relazioni d’amore svariate e variopinte, poteva solo essere scandaloso. Figuriamoci con le sfumature saffiche. Più che la Lehmann con la sua scrittura, poté, nelle menti presenti sul pianeta in quel momento, il fatto che ci fosse del sesso. Altissimo sconcerto per l’influenza negativa sui ragazzi (dopo quasi un secolo siamo esattamente lì?). Poche le eccezioni in cui veniva paragonata a grandi scrittori (un uomo, per inciso). Catalizzazione di prospettiva.

Ma di più. C’è anche il legame con la vita dell’autrice (con le debite distanze, non facciamo che poi in automatico scrive di lei, che comunque è una roba che non ci interessa qui). Pare sia stato scritto in un momento della sua vita in cui le occorreva sottrarsi alla realtà. Jonathan Coe ce lo spiega proprio all’inizio (ma voi leggetelo dopo la fine) come rievocare, idealizzare l’infanzia, fosse un modo per affrontare un brusco cambio di abitudini e luoghi nella vita reale della Lehmann. Allora rievocazione, idealizzazione, idillio del passato ci arrivano attraverso un personaggio che per le prime almeno cento pagine, appunto, rievoca, idealizza e ha l’idillio del passato. Prospettive.

Ma torniamo al punto. Questa Judith, ancora un po’ sfigata attualmente, sembra lasciarsi trasportare e vivere dalle vite degli altri, nelle vite degli altri. Si riempie la testa di immagini e sogni, preghiere di incontro, si costruisce immaginari possibili intorno a momenti concreti e passati, intorno all’idealizzato cerchio magico dei Fyfe. Poi l’epoca universitaria dell’amata Jennifer. Ci sono alcuni conigli, piste di pattinaggio, giardinieri e un discreto numero di balli e lettere tra una cosa e l'altra. A forza di tutto questo si fa presto a ritrovarsi una Judith ipersensibile, che pare aperta al mondo e invece potrebbe anche solo essere molto chiusa nella sua testa. Forse a una coltivatrice di sogni accade, a volte, di sentirsi inadeguata in quello strappo tra vita reale e vita reale immaginata. Una specie di dipendenza dal fuori che si autoalimenta coltivando il dentro e nel frattempo si cresce.

La prospettiva fa questo, no? Potrebbe essere proprio questo: l’ammissione di certi meccanismi, la svagatezza che muove tutto l’essere di Judith fino a portarla da qualche parte, l’attestare che così accade, potrebbe essere il più forte punto di vista. Dire che è un modo di funzionare. Che è un modo per crescere. E dunque, vincere il gioco.                Perchè si può vederla anche diversamente. Perchè Risposte nella polvere era pieno di senso e non solo assurdo anche nel millenovecentoventisette, 

Nelle sue memorie*, The Swan in the Evening, ricorda anche che, reazioni della carta stampata a parte, era stata inondata di lettere da molti sedicenti corteggiatori, uomini e donne, che allegavano fotografie osé. Un francese le mandò perfino un seguito del romanzo, duecentomila parole scritte allo scopo di «prepararmi al nostro futuro insieme, quando lui mi avrebbe insegnato l'amore».

Prospettive.
Crescere alla fine, mi sa che è questo.
Invertire le parti. O essere disposti a farlo.

E questo libro ve lo farà fare.
E poi?

Rosamond Lehmann, Risposte nella polvere, Einaudi, 2014.

*cfr. Rosamond Lehmann, Introduzione di Jonathan Coe, pp. V-XII

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