Photo Credit: Guido Crepax
Talor si ferma, et una voce ascolta,
che di quella d'Angelica ha sembianza
(e s'egli è da una parte, suona altronde),
che chieggia aiuto; e non sa trovar donde.
Orlando Furioso – canto XII
«Angelica». È sufficiente questo nome per identificare i versi citati qui sopra. Sì perché di Angeliche famose, (come di Beatrici o di Laure) ce n’è solo una, che va di necessità in coppia – anche se il poema vuole diversamente – con Orlando. Il solo fatto che questi nomi, senza altri riferimenti, ci facciano immediatamente balenare nella memoria un certo mondo e un certo immaginario prova che L’Orlando Furioso, a quasi cinquecento anni dalla sua prima edizione (1516), non molla il colpo e resta non solo tra le opere più significative della nostra letteratura, ma anche tra quelle più ammirate e studiate con interesse nel corso dei secoli fino a oggi.
A cosa è dovuta l’attenzione di studiosi, scrittori e artisti posteriori, che dal Furioso hanno tratto ispirazione e al Furioso hanno dedicato le proprie opere?
La risposta si può ben riassumere in tre parole, “Incantamenti, passioni e follie”, che fanno da sottotitolo all’esposizione “L’Orlando Furioso”, incentrata sulle riletture del poema cavalleresco nell’arte contemporanea. Aperta da sabato, la mostra è allestita a Palazzo Magnani a Reggio Emilia, dove lo scrittore nacque 540 anni fa.
“Incantamenti, passioni e follie”, giochi di incastro, meraviglie, smarrimenti… L’Orlando Furioso è l’opera dell’incertezza e del disorientamento, dove tutto, anche le passioni più profonde, è soggetto al mutamento e alla perdita. Ben rappresentato dal castello del mago Atlante dove il paladino stesso vaga a vuoto, credendo di sentire la voce di Angelica (ma invece è un incanto), il mondo ritratto da Ariosto è incerto, illusorio, imprevedibile. E nessuno sembra poter sfuggire alle sue insidie.
Eccola qui la modernità di questo testo, che ispirò i contemporanei di Ariosto e continua a essere fonte per i contemporanei nostri. Secondo Gianni Celati viviamo “in un mondo dove tutti agiscono in stati di incantamento o di fissazione, prodotti dal gioco della sorte”, è naturale che un’opera del disorientamento come il Furioso non smetta di suggestionare gli artisti di oggi.
Si comincia con il dipinto ad olio di Simone Cantarini, Angelica e Medoro, del 1645 circa, per proseguire con un breve excursus sulla fortuna del poema nel passato, attraverso la collezione della Biblioteca Panizzi e della Fondazione Pietro Manodori di Reggio Emilia. Cuore della mostra sono però le opere di artisti contemporanei, italiani e stranieri, che hanno tratto ispirazione dalla figura dell’Ariosto o dalle atmosfere e dalle scene del suo capolavoro. Pittori, scultori, fotografi, fumettisti si misurano con il Furioso e con il suo immaginario meraviglioso, lasciandosene affascinare e comunicandone la grandissima attualità. Da Mimmo Paladino a Tullio Pericoli, da Guido Crepax a Grazia Nidasio, sono più di cinquanta i nomi di artisti che testimoniano l’interesse da parte delle arti visive per i motivi del labirintico poema.
Un catalogo impreziosito dai contributi di alcuni grandi autori (come il già citato Celati, Giulio Ferroni e Franco Farinelli) raccoglie infine le immagini delle opere esposte.
La mostra durerà fino all’11 gennaio ed è a cura di Sandro Parmiggiani
L'articolo Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori nell’arte di oggi sembra essere il primo su Finzioni.