Cari amici di Finzioni e di Federico Baccomo, da oggi abbiamo tra noi un nuovo vecchio amico: Uroboro, Ouroboros, Ourorboros, Oroborus, Uroboros, Uroboru, il serpente che si mangia la coda, il Serpens qui caudam devorat, l’En to Pan (nell’Uno il Tutto) o, più semplicemente, Uro.
Probabilmente conoscerete già la sua storia: gli alchimisti greci volevano animare un pochettino una figura geometrica considerata troppo arida, il banalissimo cerchio, e ci hanno visto dentro un serpente che si morde la coda. Poi sono arrivati tutti gli altri che hanno corroborato l’idea, l’hanno traslata (Yin e Yang) e colorata, ma il concetto rimane. Ma c’è una cosa interessante: Uroboro significa, letteralmente, “coda mordace”. Senza complemento oggetto. Come dire: è la coda che mangia se stessa. La bocca aperta è una licenza metaforica per renderlo figurativamente comprensibile ma, di fatto, l’idea è quella della fine che morde l’inizio. In questo caso, la domanda “se la fine morde l’inizio, l’inizio, quando inizia, da cosa è morso?” è mal posta. La potenza di Uro sta proprio nell’annullamento dei due concetti, nell’abolizione di un inizio e di una fine ontologici. En to Pan, nell’Uno il Tutto, Tutto equivale a Niente.
Bella roba, eh? Ma che cosa c’entra con Peep Show, il nuovo libro di Federico Baccomo, da oggi nelle vostre migliori librerie sottocasa? Peep Show inizia con la fine e finisce con l’inizio (così si titolano il primo e l’ultimo capitolo) e, come l’erba secondo Deleuze, cresce nel mezzo, o, meglio, cresce dal mezzo, e non dagli estremi.
La storia è semplice: Nicola Presci è un prodotto da Grande Fratello, una reazione alchemica della celebrità fine a se stessa, una celebrità che, pensandoci, si morde la coda. Perché Nicola Presci è celebre per la sua celebrità. E basta. Infatti non sa fare niente. Dopo qualche anno sotto i riflettori, la sua stella inizia a spegnersi piano. E qui inizia la parte divertente, con dialoghi fulminanti e additivi, tempi comici da Louis C.K. (il Baccomo dialoghista è uno spettacolo), drammi interiori, incontri inaspettati e tutto il cucuzzaro. Il Presci è ormai ridotto ai minimi termini, nessuno lo calcola più e si riduce a fare l’autista di limousine per le star, per quelli che sono ancora famosi e la cui celebrità non si alimenta di se stessa ma della pochezza spettatoriale. Poi succedono dei casini che non vi racconto e arriva il sorprendente finale (lo chiamo “finale” per esigenze sintattiche e perché coincide con le ultime pagine del libro, ma, come forse si sarà già intuito, non finisce proprio nulla, perché nulla è mai iniziato).
Peep Show è un romanzo sulla vita e sulla morte, a diversi livelli. Un romanzo universale, una maturazione definita – ma non definitiva – di Federico Baccomo dopo i suoi due fortunatissimi libri precedenti. È un romanzo che tratta di vita e di morte annullandole con una metafora, così come hanno fatto gli alchimisti greci inventandosi Uroboro. La metafora dei greci era, appunto, un bel serpente. La metafora di Peep Show è lo spettacolo, la vita e la morte della celebrità, l’inizio e la fine della ribalta. Solo che la ribalta non inizia e non finisce mai, semplicemente si articola in una serie di passaggi circolari, ricorsivi, che insistono e sussistono su se stessi. Un incastro logico e interplanare tra la vita fisiologica che inizia e la vita celebrativa che finisce e, viceversa, la vita fisiologica che finisce provocando la rinascita – se mai di rinascita si possa parlare, e non semplicemente di sussistenza – celebrativa.
Cosa significa tutto questo? Be’, che Peep Show è un libro che vuole scrivere il Mondo, ponendo non un Serpente che divora la sua coda ma un moribondo reality show che divora i suoi affiliati. A differenza di Uroboro, però, che è un serpente educato, il Grande Fratello, dopo esserseli mangiati, fisiologicamente li caga fuori.
Federico Baccomo – Peep show – Marsilio 2014 – 368 pagine – 18 euro e cinquanta
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