Il dott. Ciro Amendola guarda Bosnia-Iran
1. Arena Fonte Nova. Squadre schierate a centro campo. Blu contro Bianchi. Bosnia contro Iran.
Una delle partite a prima vista meno significative del Mondiale 2014 era divenuta importante perché in caso di vittoria, con contestuale sconfitta della Nigeria, l’Iran si sarebbe clamorosamente qualificato alla seconda fase. L’Iran. Uno dei paesi meno simpatico al mondo, con gravissimi problemi economici e sociali e una squadra ai limiti del professionismo.
Il dott. Ciro Amendola si stava preparando a guardare la partita con curiosità, nella solitaria pace casalinga. Sorseggiando Asprinio di Aversa e sgranocchiando taralli in accompagnamento all’insalata caprese. Un buon antipasto.
In fondo anche questa partita minore altro non era che un antipasto per i “partitoni” delle prossime settimane.
Si rivolse al suo interlocutore:
“Capitano, ma voi questo Brasile come lo vedete?”
Provò a insistere, calcando l’inflessione dialettale:
"Ma Neymar (accentato sulla à) vi pare un fuoriclasse vero o nu mezz’ bidone".
Il Capitano nicchiava. Enigmatico.
"E se vi offro mezzo bicchiere di Asprinio vi sciogliete un po'?"
Il fischio d’inizio lo distolse dal tentativo di conversazione nella stanza, peraltro, vuota. Il dott. Amendola viveva da solo. Gli piaceva la sua metodica e ordinata solitudine. In fondo il dott. Amendola amava la monotonia. Era come se si sentisse protetto dalle abitudini immutabili. Così era "tutto sotto controllo". Ma ogni tanto il dott. Amendola sentiva il bisogno di un interlocutore soprattutto per commentare le partite. Dopo lunghe meditazioni sul possibile “compagno di partite”, aveva ritenuto troppo oneroso invitare qualcuno a casa, quindi, indulgendo alla sana nostalgia, aveva messo accanto alla tv una bella foto di Antonio Juliano.
Sì, proprio del capitano del Napoli anni ‘60 e ‘70 che – utile ricordarlo ai meno appassionati – non solo ha giocato quasi 400 partite in serie A, tra il 1962 e il 1978, ma fu anche campione d’Europa con la Nazionale del 1968 e scese in campo per gli ultimi 16 minuti della finale Italia-Brasile a Mexico 1970.
Comunque, Juliano era un napoletano atipico, come atipico era Ciro Amendola. Un napoletano di quelli che fanno della serietà, della lealtà e del senso del sacrificio il loro stile di vita. Non a caso i tifosi del Napoli avevano sempre stimato e rispettato Totonno il capitano, ma non lo avevano mai amato.
Altrettanto non casuale era quindi stata la scelta del dott. Amendola. Lui non poteva certo seguire la pancia della tifoseria e usare da interlocutore Vinicio, Altafini, Savoldi, Krol o Maradona.
Il dott. Amendola si sentiva moralmente vicino ad Antonio Juliano e lo apprezzava molto come compagno di televisione. Serio, silenzioso, ma sempre molto profondo nei commenti (che poi altro non erano i commenti che il dott. Amendola pensava e amava fingere di farsi dire). Gli dava del Voi a suggello del rispetto.
2. In quelle settimane di giugno il Dott. Amendola, seguiva con trasporto e interesse i mondiali di calcio e si vedeva tutte le partite. Tutte tutte. Del resto i Mondiali si giocano solo ogni quattro anni. Ogni tanto un po’ di tempo si potrà anche perdere… Semel in anno licet insanire.
Così il Dott. Amendola si guardava pure le partite minori, di quelle squadre senza star miliardarie, che i Mondiali non li avrebbero mai potuti vincere. Le partite minori, anzi, erano le più interessanti sia dal punto di vista sportivo, per capire le nuove frontiere del calcio, sia in un approccio antropologico-istituzionale.
Infatti, al Dott. Amendola piaceva preparare le partite proprio con approccio istituzionale e metodo dogmatico. Si organizzava per approfondire il sistema costituzionale degli Stati in campo, così da avere anche una lettura “normativa” della partita.Dalla fidata segreteria Anna si faceva preparare un fascicoletto con qualche voce enciclopedica e i testi delle Costituzioni (possibilmente in Italiano!)
Quella sera gli erano capitati due Stati davvero complicati, ma affascinanti nella loro complicazione. Il dott. Amendola si chiedeva se tifare per l’Iran (“squadra di Carneadi!”) o mantenere una posizione pilatesca, da semplice appassionato di calcio.
Intanto attaccava la Bosnia. Più squadra, più vogliosa. E con qualche giocatore dal nome pronunciabile!
Il Dott. Amendola guardava e studiava le carte. Per cercare di approfondire. La Bosnia innanzitutto – per la precisione – si chiama Bosnia-Erzegovina. E’ uno stato federale nato nel 1992 dopo la guerra di Jugoslavia. E’ ancora sotto il protettorato internazionale con la figura dell’Alto Commissario (dal 1995). Ha un Presidente della Repubblica eletto a turno fra le tre etnie (ogni 8 mesi tocca al presidente Bosniaco, poi a quello Croato, poi al Serbo)! E le tre etnie corrispondono anche a tre religioni diverse: musulmana, cattolica e ortodossa: si capisce perché tante guerre…
Il Dott. Amendola era stupito. Chiese conforto a Juliano.
“Capitano, ma secondo voi la nazionale della Bosnia ha spirito di squadra o si sentono comunque le divisioni fra le etnie?” “Forse per questo hanno perso le prime due partite…”
I fatti fugarono i dubbi del dott. Amendola. 23’ del primo tempo segna Dzeko! “Questo attaccante è forte! Me lo ricordo anche con il Manchester”. Il Dott. Amendola si versò un altro mezzo bicchiere di Asprinio. La partita ebbe una fiammata.
Grande azione dell’Iran! Il numero 7 – nome impronunciabile – fa un tiro bellissimo: traversa e torna in campo! Un fatalista-scaramantico come il dott. Amendola da un evento così sfortunato non poteva che trarre auspici univocamente negativi. Da condividere con Juliano.
“Ecco qua, Capitano. Brutta roba! Voi lo sapete bene: contro la malasorte non si vince!”
3. A quel punto, il dott. Amendola si mise a studiare l’Iran. L’Iran è una repubblica islamica. Cioè una specie di teocrazia. In pratica al vertice della piramide dello Stato, al di sopra anche del Presidente della Repubblica, c’è la Guida suprema (o Guida della rivoluzione) che è una figura di carattere religioso.
Il dott. Amendola era impressionato. Gli tornavano alla mente le vicissitudini dello Scià di Persia e cercava di recuperare dai ricordi liceali le altre ipotesi di Stati teocratici (l’Antico Egitto, Città del Vaticano e…. boh).
Nel frattempo l’Iran giocava poco…. Svogliato? Scarso? Fatalisticamente rassegnato? La partita sembrava segnata.
Al principio del secondo tempo, raddoppio della Bosnia (della Bosnia-Erzegovina, per la precisione). Con Pijanic. Quello della Roma! Il dott. Amendola ci rimase quasi male. Quasi. Perchè in fondo non se lo era ancora confessato di parteggiare per l’Iran, quella sera.
Gli venne fame.
Il Dott. Amendola si avviò in cucina per prepararsi uno spaghetto al pomodoro. Alzando il volume per seguire a distanza. Mica poteva sperare che fosse Juliano ad avvisarlo… Stava per buttare la pasta, quando segnò l’Iran. Di corsa a vedere il replay. Gol casuale! casualissimo!
“Vuoi vedere che la sorte sta girando?”
Nemmeno il tempo di ragionare bene, che l’immediato terzo gol della Bosnia chiuse definitivamente la partita: 3 a 1. Il dott. Amendola se ne tornò in cucina. A quel punto, a giochi fatti, era più importante vigilare sul tempo di cottura dello spaghetto – rifinitura essenziale, in cui il dott. Amendola era Maestro – che non seguire gli ultimi spiccioli di gara.
Peccato! In questo modo il dott. Amendola si perse il pianto degli iraniani a fine gara. Un pianto di rabbia? o un pianto di gioia per essere stati comunque al Mondiale? Comunque un pianto sincero.
Ma forse il dott. Amendola non ne avrebbe colto comunque il senso. Come ben sappiamo il dott. Amendola, con i sentimenti si destreggiava davvero male… Intanto, lo spaghetto era venuto bene. La giusta base di sostanza per riprendere le forze e tornare a sistemare le carte. Il Dott. Amendola di carte da sistemare ne aveva sempre assai. Meglio avvantaggiarsi. I Mondiali stavano per entrare nel vivo, con la fase a eliminazione diretta.
“Capitano… ma secondo voi il titolo di capocannoniere lo vince Neymar o Messi?”
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