
Difficile dare una definizione univoca di che cosa faccia di un libro un classico e non per niente questa è ancora oggi una delle domande letterarie più irrisolte. Vi sarà capitato spesso di incappare in discussioni sull’argomento e ogni volta, immancabilmente, avrete sentito citare il nostro Italo Calvino, che nelle 14 definizioni fornite nel saggio Perché leggere i classici, che dà il titolo all’omonima raccolta pubblicata postuma, ha provato a dare una risposta articolata all’annosa questione.
Recentemente sulle pagine di Salon, Laura Miller si è interrogata sul tema prendendo come spunto il dubbio espresso da una libraia del Vermont, indecisa se esporre il poema Beowulf nella traduzione di Seamus Heaney nello scaffale della poesia o dei classici. Nel porsi questa domanda la donna si è accorta per la prima volta che nella sua libreria alcuni autori, quali P.G. Wodehouse e Kurt Vonnegut, erano migrati misteriosamente dalla sezione narrativa a quella di classici, forse su iniziativa di qualche giovane impiegato o addirittura di un cliente. L’autrice dell’articolo riflette a tale proposito su come la definizione di classico sia in parte soggettiva e dipenda da una serie di fattori quali la storicità del libro, la sua qualità, l’impatto che ha avuto sui suoi tempi. E ancora, la distanza temporale ha importanza? Il fatto che Don De Lillo e Toni Morrison siano ancora in vita, si chiede la Miller, fa sì che Underworld e Amatissima si trovino ancora nella sezione narrativa? Underworld è uscito solo un anno dopo Infinite Jest, ma per quest’ultimo si può già parlare di classico data l’immediata santificazione di DFW dopo la sua prematura scomparsa?
L’autrice cita a tale proposito una discussione tra lettori su Goodreads che è esemplificativa della varietà di risposte a una stessa domanda: dalla presenza nei libri di storia al mero gradimento personale, ognuno ha la propria visione di che cosa faccia di un libro un classico. Ma quella che ci interessa affrontare oggi è un’altra domanda: ci sono libri che sono entrati nell’olimpo dei classici, ma che non meriterebbero di starci? Se potessimo togliere qualche nome dalla lista, quale sarebbe?
Il magazine Flavorwire ha girato questa domanda a una serie di critici, scrittori e insider del panorama editoriale chiedendo loro di indicare uno o più titoli che dovrebbero essere depennati dalla lista. Si parte dalla scrittrice Adelle Waldman che cita Stoner di John Williams; il libro (una delle letture migliori che ho fatto nel 2013, ndr) non farebbe in realtà parte del canone, ma sta avendo un tardivo successo e molti insistono sul fatto che sia stato ingiustamente sottovalutato. È noto infatti che il romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1965, ottenne un modesto riscontro vendendo appena 2000 copie ed è stato riscoperto di recente, prima negli Stati Uniti, per poi arrivare in Europa grazie ad una traduzione in francese da parte della scrittrice Anna Gavalda nel 2011 e poi in Italia per Fazi nel 2012. A quasi cinquant’anni dalla pubblicazione ha ottenuto un grande successo di critica e pubblico, del tutto immotivato a dar retta alla Waldman che lo descrive come il tentativo di dipingere come un eroe vittima della moglie un uomo che era in realtà passivo e codardo.
Secondo Ilan Stavans, editore di Restless Books, potremmo fare a meno di John Updike in toto e di Il buio oltre la siepe, giudicato scadente e auto-compiacente. A dar retta a Adrian Todd Zuniga, fondatore del format di sfide letterarie Literary Death Match, a uscire dal Canone dovrebbe essere l’Ulisse di Joyce, un libro che farebbe più danni che altro ai lettori e che nessuno si sognerebbe di leggere se non fosse obbligato. Joyce si prende una doppia citazione: secondo il co-fondatore di Electric Literature Benjamin Samuel dovremmo smetterla di parlare tanto di Finnegans Wake. Per lo scrittore Justin Taylor, tra i sopravvalutati ci sarebbero Salinger e, nuovamente, Updike.
Secondo la scrittrice Katherine Bucknell invece, l’espressione science fiction classic sarebbe un ossimoro, in quanto nulla ha maggiori probabilità di risultare "datato" di un romanzo che azzarda previsioni sul futuro; la realtà sarebbe ben presto più interessante della narrazione. Per questo motivo l’autrice cestinerebbe i capisaldi del genere: Brave New World di Huxley, Jules Verne, H.G. Wells.
E voi come la pensate? C’è qualche libro che vi è stato imposto a scuola o che vi siete trovati in mano nello scaffale dei classici che pensate non si meriti di starci?
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