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Isabel Allende e la crime fiction: la polemica per Il gioco di Ripper

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(© William Gordon)

Secondo un articolo del The Guardian, le recenti dichiarazioni di Isabel Allende in merito al suo ultimo libro, Il gioco di Ripper (Feltrinelli, 2013), hanno suscitato un piccolo putiferio tra le comunità di lettori, librai e colleghi presso cui il romanzo giallo gode di tutt'altra considerazione.
Pare infatti che l'autrice punta di diamante del realismo magico abbia definito questa prima (e probabilmente ultima) incursione nel mondo del thriller come uno scherzo ironico, progettato a tavolino da una non amante del genere che, documentandosi sui gialli di maggior successo del 2012, si è volutamente appropriata della formula canonica scegliendo come protagonista non un fascinoso detective né un brillante poliziotto, bensì un'adolescente nerd. Ciò pur avendo realizzato di non essere nelle corde di un certo tipo di romanzo «troppo violento, cupo, senza redenzione».
Se da una parte è del tutto legittimo per un autore esprimere giudizi di valore su filoni letterari che non sente vicini, decisamente meno chiara è la scelta di appropriarsene con l'intento di sminuirli: perché?

Una domanda che si è posto anche il proprietario della libreria di Houston Murder by the Book il quale, dopo aver ascoltato l'intervista alla scrittrice cilena, ha spedito indietro le 20 copie autografate de Il gioco di Ripper precedentemente ordinate. Se il fatto che gli autori di thriller si trovino a dover difendere costantemente la loro attività da un certo snobismo letterario non è di per sé una grande novità, è assurdo che un'autrice come la Allende accetti di essere pagata per scrivere nel solco di una tradizione narrativa che nemmeno stima. Andando poi in giro a vantarsene, che reazione si aspettava dai suoi lettori?

Probabilmente non quella di una comunità infuriata che l'ha invitata a tenersi stretto il suo "elitarismo arrogante" occupandosi di ciò che ritiene di saper fare meglio; né quella di Charlaine Harris, autrice del ciclo di Sookie Stackhouse, che sul suo blog ha parafrasato le parole della collega con un "sono così incredibilmente 'letterata' che acconsentire a scrivere un romanzo di genere è divertentissimo", scoraggiando l'acquisto del libro. Sul fronte britannico, Val McDermid si rallegra dell'insurrezione dei lettori contro la Allende, prova di una maggiore consapevolezza e dell'emancipazione del thriller dallo stato di subordinazione in cui si è confinato, autocommiserandosi, per anni; mentre Mark Billingham si chiede, molto più sottilmente, se la vena ironica della Allende non sia venuta fuori così all'improvviso per rispondere alle stroncature negative della critica, presso cui Il gioco di Ripper sembra non aver ottenuto grande successo. 

Insomma, considerazioni infelici sotto molteplici punti di vista; forse – ed è sempre Billingham a insinuare - persino quello coniugale, essendo l'autrice sposata con l'"international man of mysteries" William Gordon.
 

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