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Intervista a Marc Dugain

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Bentornati alle Interviste di Finzioni! Oggi abbiamo con noi Marc Dugain, noto scrittore francese che ha sbancato il botteghino in patria con il libro Avenue des Géants, tradotto in italiano da Chiara Manfrinato per ISBN Edizioni con il titolo Viale dei Giganti. Dugain ha scritto le memorie immaginarie di Edmund Kemper, un vero serial killer americano alto due metri e venti e con un QI superiore a quello di Einstein, che ha ucciso i nonni, la madre e numerose autostoppiste tra il 1972 e il 1973. Il libro, che è molto bello, è scritto in prima persona come se fosse proprio Kemper a raccontarsi. Ma, come dice Tom Waits, "da quando in qua la verità rende migliore una storia?” 

Iniziamo? Iniziamo.

La prima domanda non può essere che questa: perché ha scelto di raccontare la storia di Edmund Kemper?

Sinceramente, avevo in mente un’idea per un altro libro. Ma in quel periodo ero a Casablanca, stavo guardando la tv e mi sono imbattuto per caso in un documentario su Kemper. Non sapevo nulla di lui. L’ho ascoltato parlare della sua vita e sono stato molto colpito dalla sua intelligenza, così come dalla sua abilità nell’analizzare le cause del suo comportamento criminale. Così ho deciso di raccontare la sua storia, molto significativa per capire le cause che portano una persona a diventare un serial killer. Non avevo nessuna empatia per lui, solo la sensazione che sua madre l’avesse portato a essere un assassino.

Il suo libro è molto dettagliato. Come faceva a sapere tutte quelle cose? Immagino che sia molto difficile pensare con la testa di un assassino, soprattutto se ha un QI così alto!

Ho studiato brevemente la sua vita per decidere cosa fosse interessante per me e cosa no. Ho deciso di entrare nella sua mente come un attore entra nella parte. È stata dura perché sono andato in molti dei luoghi in cui ha vissuto, in California, specialmente dove ha ucciso sua madre. Ero interessato dal fatto che, dopo aver ucciso i suoi nonni, lui fosse perfettamente a suo agio con l’idea di non uccidere più nessuno. Ma le sue pulsioni erano più forti di lui. Inconsciamente, uccidere era il suo unico modo per rimanere vivo. E la cosa più interessante è quando Kemper dice: “se avessi ucciso mia madre per prima, le altre vittime sarebbero state salvate”. Sono sicuro che sarebbe andata così.

Kemper è molto famoso in America e in tutto il mondo. La sua storia è conosciuta e internet è pieno di sue biografie e informazioni, anche dettagliate. Lei ha costruito il suo libro attorno a queste informazioni o ha trovato qualcosa di inedito?

La finzione è finzione, anche quando si basa su una storia vera. Non volevo diventare prigioniero della sua vita reale e obbligarmi a seguirla accuratamente. Non ho trovato nulla di inedito, ho solo vissuto nei luoghi in cui ha vissuto lui e la mia immaginazione ha iniziato a lavorare. È un libro molto diverso da A sangue freddo di Truman Capote. Lui mi ha ispirato ma questa non è una biografia. È solo un adattamento della sua vita per scopi artistici e sociali.

cover Intervista a Marc Dugain

Il problema di Kemper era il rapporto con il suo corpo e la sua mente. Entrambi sono troppo grandi per lui. È come se Kemper fosse qualcosa di slegato dal suo corpo e dalla sua mente. Ma quindi chi è Edmund Kemper? Come potrebbe definirlo? Qual è la sua identità, se dobbiamo pensarla slegata dal corpo e dalla mente?

Kemper era “troppo” intelligente. Il suo QI era più alto di quello di Einstein. Inoltre era anche due metri e venti! Sapeva che, intelligente com’era, avrebbe meritato l’ingresso in classi sociali alte e privilegiate. Ecco perché si è vendicato solo con ragazze di buona famiglia e non ha mai torto un capello a nessun hippie.

Kemper era anche malato. Fu traumatizzato da sua madre che lo estraniava a causa del suo profondo odio verso gli uomini. Lo ha ucciso socialmente e affettivamente. Non gli ha dato la possibilità di diventare una persona onesta e sana. E la cosa interessante è che Kemper era così intelligente da analizzare i meccanismi che l’hanno portato a diventare un serial killer. Ma questa capacità non gli ha impedito di ricominciare a uccidere. E io sono molto interessato a questo aspetto dal punto di vista psicologico. In altri termini, non sono convinto che l’essere cattivi abbia cause genetiche.

Lei ha scelto un modo diverso per descrivere un killer rispetto a, per esempio, un altro famoso scrittore francese che preferisce fare reportage e raccontare il suo protagonista attraverso i propri occhi e con una presenza molto forte nelle pagine dei suoi libri, come Carrère. Lei invece ha scelto di scrivere un’autobiografia immaginaria. Qual è il modo migliore per descrivere una vita?

Ogni scrittore ha i suoi metodi. Il mio metodo è quello di considerare ogni personaggio come un essere umano. Provo con tutti i miei mezzi a comprendere più profondamente possibile qualcuno che in qualche modo è un esempio rappresentativo della parte peggiore dell’umanità. Certamente, venire maltrattato nell’infanzia non significa automaticamente diventare un serial killer. Credo però che essere così intelligente abbia portato Kemper a reagire violentemente alle ingiustizie di cui è stato vittima. Io non sarei mai in grado di fare un reportage su di lui, io voglio capirlo.

Ha mai incontrato Kemper? E lui sa dell’esistenza di questo libro?

Non ho mai voluto incontrarlo per mantenere la mia libertà e la mia obiettività. Il libro sarà tradotto in America per la fine dell’anno e credo che gli manderò un messaggio dicendogli che il mio lavoro è una finzione basata su di lui senza nessuna intenzione di raccontare la sua vera storia. Sto anche preparando un film basato su questo libro e Kemper avrà la possibilità di vederlo, quando sarà uscito.

Questa è una domanda che facciamo sempre. Con quale personaggio letterario andrebbe volentieri a cena?

Beh, forse proprio Kemper, visto che il libro è finito! Se non fosse possibile, porterei fuori Roskolnikov.

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